
In realtà è opportuno controllare da Selva lo stato del campo di neve che si trova immediatamente prima dello sbocco del canalone che scende dal Piz Miara (notissimo itinerario di sci ripido) per proseguire poi, dopo un salto di roccia, nel Vallon de Meisules. Se in questo punto la neve arriva fino all'orlo del cengione, il percorso può diventare assai delicato. Altrimenti si tratta di una magnifica "passeggiata di croda" in un ambiente di splendido isolamento. Ritengo sia utile descriverlo anche perchè in molti blog (soprattutto di sci-alpinismo) circolano macroscopiche inesattezze circa questo percorso: si trovano splendide immagini, con tanto di cerchiatura gialla intorno ai Campanili di Murfreid, che mettono in risalto un'evidente interruzione della cengia. Falso!
La cengia passa, e anche piuttosto larga, dietro ai campanili. In ogni caso percorrerla con gli sci è del tutto sconsigliabile, perchè, seppure larga, la cengia è molto inclinata verso l'esterno, sovrasta alti salti di roccia ed è soggetta a frequenti slavine.
Da affrontare unicamente con tempo (bello) stabile: in caso di temporale le strette gole che percorrono le pareti del Sella diventano violentissime cascate che tempestano di sassi la sottostante cengia. Nessuna possibilità di uscita o di riparo.
Si ferma la macchina all’affollattissimo parcheggio della Ferrata Tridentina, pochi tornanti sotto il passo Gardena, versante Badia. Si risale l’evidente Val Setus, trascurando all’inizio la deviazione a sinistra per la ferrata, e la si percorre interamente: a causa dell’affollamento, nella parte alta, le attrezzature per la salita seguono un percorso leggermente differente da quelle per la discesa. Una volta emersi sull’altopiano si tralascia il sentiero sulla sinistra per il rifugio Cavazza al Pisciadù e si piega a destra sul sentiero 677 per Forcella dei Camosci. Dopo una breve salita ci si ritrova sulle ampie distese pietrose delle Masores de Murfreit che anticipano la cengia vera e propria. Qui giacciono gli splendidi e minuscoli Lec de Dragon che ci avvertono che stiamo camminando su un sottile strato di ghiaia che galleggia su parecchi metri di ghiaccio (la gita può anche concludersi qui con una eventuale elementare deviazione al Sass dla Luesa, che domina da quasi 600 metri di altezza il Passo Gardena). Si abbandona a questo punto il sentiero e si comincia a percorrere l’ampia pietraia, procedendo senza via obbligata in direzione SO, parallelamente alla bastionata sovrastante. All’altezza dei Campanili di Murfreit l’altopiano si restringe notevolmente e inizia la cengia vera e propria che, seppure larga, va affrontata con prudenza per la notevole esposizione, l’inclinazione e il terreno friabile. Laddove mancano (le seppur rare) tracce di passaggio conviene tenersi piuttosto alti: si possono così sfruttare al meglio le intercapedini tra la roccia e gli eventuali campi di neve da valanga. Dopo essere passati sotto i Piz Rotic, Miara e Gralba la cengia si allarga nuovamente fino ad incontrare la parte intermedia della ferrata delle Meisules (nel tratto di raccordo tra l’impegnativa parte bassa e la facile parte alta).
È consigliabile una sosta nei pressi del Piz Ciavazes (si può salirne facilmente la cima dal versante Ovest): si possono ammirare a pochi metri di distanza gli alpinisti impegnati sulle Torri del Sella e, sul terreno, numerosi esemplari di una bella conchiglia fossile, la Myophoria Kefersteini. In realtà la cengia prosegue, seppure assai più stretta, anche oltre, fino a portarsi al disopra della Val Lasties. Purtroppo l’unico canalone che potrebbe permettere una discesa non alpinistica è chiuso, in alto, da una serie di massi incastrati che richiedono una discesa in doppia. Il percorso della cengia ci avrà impegnato per un paio d’ore. A questo punto il ritorno inizia … con una bella salita: la parte alta delle Meisules (ricordarsi l’attrezzatura da ferrata) che ci porta sul punto più alto dell’itinerario, il Piz Selva.
Discesa: dal Piz Selva inizia lo splendido sentiero delle Meisules (649) che attraversa tutto l’altopiano del Sella in direzione del Rifugio Boè. Possiamo decidere di percorrere, con qualche saliscendi, il panoramico sentiero di cresta o mantenerci un po’ più bassi, ma sostanzialmente in piano. Per rientrare al Rif. Pisciadù e quindi al Passo Gardena ci sono tre possibilità:
1) arrivati alla forcella del Camoscio, scendere per la riposante Val Ciadin fino a giungere poco sopra i Laghi del Dragon; per raggiungerli bisogna scendere uno stretto e ripido canalino munito di corda fissa; purtroppo in stagione avanzata il canalino si presenta ghiacciato e la corda spesso risulta sommersa dal ghiaccio stesso. Ho visto parecchi escursionisti ripercorrere a ritroso la valle perchè intimoriti da questo breve (ma impegnativo) passaggio (se si vuole affrontarlo conviene all’andata sincerarci dello stato del canalino prima di abbandonare il sentiero 677: questa verifica richiede poche decine di metri di salita);
2) si prosegue fino alla Sella del Pisciadù da dove si vede bene il sottostante Vallone e il Rifugio del Pisciadù. Anche in questo caso c’è una piccola difficoltà: dopo essere scesi di pochi metri bisogna superare un salto pressocchè verticale di una ventina di metri, attrezzato ma molto esposto. Un tempo il sentiero passava per un canale laterale coperto sempre di neve: lo si potrebbe percorrere anche ora con un po’ di attenzione, ma non lo fa più nessuno. Sorprendentemente sulle guide non si fa alcun cenno (almeno a quanto mi risulta) a questo problema;
3) si prosegue ancora fino a incrociare l’Alta Via n.2 (666) che attraverso la Val di Tita porta senza alcuna difficoltà al Rifugio Pisciadù.
Una volta raggiuntolo si prende il sentiero sulla sinistra che, in leggera salita, porta alla testata della Val Setus ricollegandoci all’itinerario di salita, che ci riporterà al punto di partenza.
Tempi: i miei tempi non sono molto affidabili (così dicono i miei amici); in genere impiego tra le 8 e le 9 ore di cammino effettivo (ho 61 anni, però). È quindi richiesta un’ottima resistenza, piede sicuro, capacità di muoversi con disinvoltura al di fuori dei sentieri e un minimo di esperienza di percorsi attrezzati. Si può spezzare l’itinerario percorrendo il primo giorno la Val Setus in salita, pernottando al Rif. Cavazza al Pisciadù (spesso molto affollato) e compiendo il giro il giorno successivo.
A chi, infine, come me, non vuole ripercorrere i propri passi si può consigliare la discesa dal Rifugio Cavazza nella solitaria Val de Bosli (dal rifugio verso Est, 676), che raggiunge la parte bassa della Val de Mesdì; dopo essere discesi per poco più di 100 metri di dislivello si imbocca verso sinistra un sentierino (senza numero, ma segnalato sulle carte; quota 2050 circa; se si fa attenzione è evidente il punto in cui bisogna attraversare in una zona pressochè pianeggiante il fondo della Valle) che in leggera salita porta alla base della Tridentina e in fondo alla Val Setus, poco sopra al parcheggio (calcolare almeno un’ora e mezzo in più).
- Cartografia:
- Kompass 616
- Bibliografia:
- L. Visentini, Sassolungo e Sella, Athesia (1986)
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