Rocciamelone da Malciaussia per il Rifugio Tazzetti e il Colle della Resta

Rocciamelone da Malciaussia per il Rifugio Tazzetti e il Colle della Resta
La gita
mountain
05/08/1956

Storia della prima salita al Rocciamelone dalla Val di Viù.
Per mio padre il Rocciamelone era d’obbligo visitarlo tutti gli anni, possibilmente in occasione della festa del 5 agosto.
Sono piccolino, ad ottobre farò la 1° elementare, ma insisto che voglio andare anch’io; mio padre accetta però decide che viene anche mia sorella, che ha un anno di più.
Scendiamo a piedi da casa e ci troviamo alle Fucine ad aspettare la corriera che sale nella valle, guidata da Guido dle curiere; è piena, tra l’altro in fondo vi è un gruppo di ragazzini diretti ad una colonia, molto chiassosi; Guido, alle fermate si gira e li rimprovera ordinandogli di stare zitti; ad un certo punto, ferma la corriera e parte in fondo e molla un bel ceffone ad uno troppo agitato, che aveva vito nel retrovisore; cala il silenzio.
Arriviamo ad Usseglio; Guido ferma la corriera a Villaretto e vede che ci siamo solo più noi ed allora ci dice che non ci porta più su a Margone, tanto noi andiamo solo a spasso. A mio padre la cosa non dà per niente fastidio, così può passare a salutare i suoi vari amici nella zona; va a trovare il Furgatt, Pierin, Luis e altri dai quali è d’obbligo gustare un buon bicchiere; per noi qualche caramella.
Finito il rituale dei saluti ci incamminiamo sulla strada ed arriviamo a Margone, dove si compra dal Massciùn un bel miccone di segala, poi proseguiamo sulla strada e sul sentiero di scorciatoia sui pascoli con alcuni prati ancora con il fieno ormai secco, ma ancora da tagliare. Siamo sotto un sole cocente che ci sfinisce e molto cotti arriviamo finalmente a Malciaussia dove una buona bibita dal Vulpot ci dà un po’ di soddisfazione, ma poi si riparte. Il sentiero non finisce più intanto si fa sera; ogni tanto ci fermiamo per un po’ di pane e toma; arriviamo sul nevaio sotto il rifugio che è già duro, ma io che ho sempre fatto il camoscio non ho difficoltà a passarlo. Al rifugio sorpresa: è pieno zeppo di gente, specialmente cacciatori che vanno a studiare le future battute, cercatori di genepy e di altre erbe per liquori; dentro c’è un frastuono incredibile, tutti che cantano a squarciagola ed intanto il vino va alla grande. Finalmente riusciamo a mangiare una minestra di verdura, ma seduti sulle pietre al di fuori del rifugio, poi a mio padre che chiede un posto di riposo per me e mia sorella, il Vulpot dice: possono mettersi nella cuccia dlu cin là fuori, ma non ci stanno; si studia un po’ come fare: nel corridoio c’è un via-vai continuo (anche tanti che gomittano), allora mio padre prende una sedia e ci aiuta ad infilarci sotto le lamiere del sottotetto. Resistiamo poco perché non possiamo muoverci, ci lamentiamo ed allora mio padre ci recupera e ci dice: facciamo che andare, ho la pila e così vediamo. E’ notte fonda, senza luna, inizia la salita sull’erto sentiero, poi le varie pietraie, tratti ancora con nevaio, poi la salita al Col di resta dove all’uscita lo scivolo di neve è ancora notevole e assai dritto. Ci sono per fortuna delle pedate così mio padre ci fa salire davanti controllandoci da sotto ed usciamo sul ghiacciaio quando iniziano i primi segni dell’alba; fa freddo ma siamo ben vestiti. Sul ghiacciaio, che all’epoca era un completo pianoro glaciale tutto raccordato al pendio sulla cresta finale, la neve è dura, allora mio padre previdente ci infila sulle scarpe i ciaussun che sono vecchie calze di lana e così attraversiamo senza problema tutto il nevaio ed il pendio verso la cresta finale lungo la quale c’era per fortuna la traccia e finalmente giungiamo alla sospirata madoona. Saranno le cinque; appare l’aurora, non c’è ancora nessuno in giro, entriamo nel rifugio, dentro qualcuno c’è ma finalmente anche noi troviamo un posto per riposarci anche sé l’ambiente è molto umido.
La tranquillità non dura molto, si odono i primi vociare, così usciamo per vedere e da Susa notiamo la fila di gente che sale; mi è venuta fame; rovisto nello zaino di mio padre e trovo una scatoletta di antipasto Galfré ed una scatoletta di Simmenthal e me le faccio fuori; arrivano il prete, gli alpini e la folla e un pò dopo inizia la festa con la messa. Offrono anche il the, ne bevo una tazza che mi fa venire mal di pancia, tuttavia non posso lamentarmi perché è ora di scendere; la discesa non ha storia; per fortuna a Malciaussia riusciamo a trovare un passaggio su una campagnola fino ad Usseglio, poi saliamo sulla corriera di Guido che fa la corsa serale verso Torino, che ci scarica a Fucine e con mezz’ora ancora a piedi finalmente siamo a casa. Dopo un’esperienza così potevo dire basta, invece è stato l’avvio per altre avventure.

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