Grandes Jorasses, sperone Walker – Via Cassin

Grandes Jorasses, sperone Walker – Via Cassin
La gita
fabrizioro
5 24/07/2022

Sbinocolandola dal Refuge de Leschaux ti senti piccolo piccolo. Cerchi di individuare i passaggi con nomi ormai leggendari (la Fessura Rebuffat, il Diedro di 75 metri, il Pendolo, le Placche nere, la Torre grigia, la Schiena di mulo, il Nevaio triangolare, la Torre rossa…), mentre pensi al fegato di Riccardo Cassin e soci: partiti da casa senza mai aver visto la parete prima, con in mano solo una foto. Arrivati al Rifugio Torino, avevano chiesto al custode: «Scusi, dov’è il ghiacciaio di Leschaux?». Dopo quattro giorni e tre bivacchi, Riccardo Cassin, Luigi Esposito e Ugo Tizzoni risolvevano “l’ultimo grande problema del Bianco”, questa muraglia di 1200 metri che invano aveva tentato gente come Pierre Allain, Edouard Frendo, Giusto Gervasutti…
Con Alessandro volevamo sfruttare l’allenamento del Pilone centrale del Frêney e scalare quella che è stata definita “la Parete delle pareti, la Via delle vie, il sogno di ogni alpinista”. Così, illudendoci di non aver già abbastanza martoriato i nostri alluci, risaliamo la Mer de Glace (Glace?) e veniamo accolti al Refuge de Leschaux da una teglia di lasagne (lasagne?) e dal gattone Jorasses, che intuendo che dovevamo alzarci a mezzanotte ci ha tenuto compagnia saltando sul letto e impedendoci di prender sonno…
All’1 ci leghiamo con Mael e Tristan, due francesi incontrati al rifugio: il ghiacciaio è tormentatissimo, meglio unire le forze. Inoltre, diverse cordate nei giorni scorsi si sono smarrite nel labirinto di crepacci e ponti, dovendo far marcia indietro. Ma noi abbiamo l’arma vincente: una traccia Gps che il rifugista ci ha passato (e che, a suon di birre medie, siamo pur disposti a divulgare…). Mael e Tristan si rivelano due TGV 🚅, così in un paio d’ore siamo all’attacco. Aiutiamo anche altri tre ragazzi tedeschi a trovar il passaggio giusto. E loro ricambieranno più tardi, avvertendoci di non traversare troppo e intuendo all’alba la base del primo passaggio chiave della via: le fessure Allain/Rebuffat.
Li lasciamo passar avanti, del resto è chiaro da subito che è inutile fare a gara. Pur essendo domenica, siamo solo tre cordate e vogliamo tutti coronare lo stesso sogno: senza neanche dircelo, nasce così un’unica grande squadra che, da una sosta all’altra, si aiuterà a orientarsi e a tenere alto il morale. Anche quando, sulle Placche nere, i piedi nelle scarpette stanno per esplodere, o quando i quadricipiti sulla cresta iniziano a urlare (quanti squat avremo fatto, col peso degli zaini?). Fino al Nevaio triangolare, dove io e Ale decidiamo di fermarci approfittando dell’unica neve della parete (una Nord!) per bere e mangiare. Poco sotto, una cengetta ci permette di passar la notte. Facendoci rimpiangere la postazione della Chandelle, che al confronto pare il massimo del comfort.
All’alba, dalle spalle del Cervino arrivano i primi raggi. Ripartiamo, ci attendono i tiri più delicati: la Torre rossa con i suoi camini marci. In realtà, scopriamo ben presto che oltre che marci sono anche verglassati: che il divertimento abbia inizio! Dall’alto, arrivano le urla festose dei tedeschi: dove avranno bivaccato? E i francesi, saranno invece sbucati in vetta ieri col buio? Finalmente, dopo duecento metri di rocce rotte e goulotte di misto, varchiamo la cornice finale: siamo sui 4208 metri della Walker!
Una foto al Bianco e al “nostro” Pilone centrale, che da qui pare così piccolo, e giù per i Rochers Whymper, per sfuggire ai nuvoloni in arrivo. L’ultimo regalo della giornata è il whatsapp di un amico, che ci propone di fermarci nella sua casetta di Planpincieux, offrendoci una doccia calda e un divano. Così, mentre qualche ora dopo divoriamo un avanzo di gnocchi riscaldati (i più buoni del mondo) e festeggiamo la prima grande Nord della trilogia, lui chiude lo zaino e parte con un compagno per un’altra avventura chiamata “integrale di Peuterey”…

Link copiato