Come già tratteggiato argutamente da un giovane su queste pagine, solcare l’appartato Vallone di Sea, da Forno, con le sue casette con i tetti in losa ammonticchiate attorno alla parrocchiale, al bivacco Fassero/Soardi, dove la scarpetta da trial lascia il posto a “picca e ramponi”, equivale ad intraprendere un viaggio, in tutti i sensi. Per la lunghezza dell’itinerario che non concede sconti di alcun genere nei lunghi “piani” da attraversare; nella memoria di quanti, alla ricerca di cibo per armenti e famiglie, vi hanno lasciato un segno tangibile con i magnifici “gias” praticamente intatti, se non per le mute bocche spalancate e le vuote orbite ai quattro venti; nella storia di coloro che prima hanno cavalcato, per necessità, fame di libertà o passione, le lunghe creste ed i valichi di confine con la sorelle Valle di Ala o Savoia e poi, al tramonto del “Nuovo Mattino”, nella visione dei leggeri “elfi” che hanno svelato appigli e appoggi là dove l’umano vede solo lisci “specchi” di gneiss protesi verso il blu, disegnando “vie” di mito battezzate. Questa è l’anima silente di Sea, aggrovigliata fra i sinuosi e lunghi fianchi che la percorrono, fra le rocce punteggiate di stambecchi e balze zampillanti a profusione, fra le sponde cupe e fragorose, il più ridenti e melodiose fra i pascoli e le anse. Sea … da far sentenziare “mai più” al tramonto e sentirne già nostalgia al capolino del nuovo giorno. In una fresca giornata di quasi estate, con Adelina, fortunatamente illesa, o quasi, da una rovinosa e distratta caduta all’Alpe di Sea, Claudio e la stoica Gabriella.