Faggi o Fò (Rocca di), bastione occidentale – Dente del Folletto o Via del Civre

Faggi o Fò (Rocca di), bastione occidentale – Dente del Folletto o Via del Civre
La gita
francescoesco
4 05/10/2023
Accesso stradale
Noi abbiamo parcheggiato qui 44.44833704994893, 8.70728955937115 poi abbiamo seguito la strada fino al piazzale.

Attenzione: questa relazione contiene informazioni utili avvolte da disavventure, un po’ romanzate ma tutte vere.

Bella via in salita, un po’ meno in discesa.

Ci lasciamo Genova alle spalle per salire verso case Brusinetti seguendo le poche ma confuse diramazioni di via Sambugo. Una volta lasciata la macchina, l’antico ponte di pietra con sentiero a sinistra e cancelletto di legno (divelto) segnalano l’inizio dell’avventura.

L’approccio si rivela molto semplice fino alla captazione con tubo bianco e seguente rimontata del dislivello. Da lì la confusione. Dall’altro lato del rio della Gava si palesa un fuorviante ometto che seguiamo con un po’ troppo entusiasmo portandoci alla sinistra orografica del rio stesso. L’ometto si rivela essere il primo di una serie di sbagliate interpretazioni. La seguente è il marker giallo della via sulla mappa Gulliver, il quale è posto dal lato “sbagliato” del rio della Gava. Lato dove noi ci troviamo.

Qui proseguiamo alla cieca, seguendo teschi di capre, sconfinando in terreni agricoli e soprattutto lasciando che i rovi diventino i nostri segnavia, soprattutto segna gambe.

Dopo due ore, ed essendo giunti al mitico marker giallo ma non all’attacco della via, lèggiamo disperati altre relazioni. Così scopriamo che la fine della via che vorremmo salire si congiunge con la via “senza di me”, posta al di là del Rio. Comprendiamo così di dover ri-attraversare il fiume e per poco non decidiamo che potremmo fermarci li a fare un bel bagno, concludendo così la giornata. Ma ostinati ci riportiamo sopra la mitica captazione con tubo bianco. Li si palesa un bollino rosso che finalmente ci apre al corretto approccio della via. Giunti sotto la parete con roccia nera, ci illudiamo che l’attacco, con spit lucenti, sia ormai il nostro.

Ma si sa che prima di ogni salita, il momento toilette è decisivo alla riuscita della conquista della vetta. E così cercando della privacy, troviamo anche il vero attacco della via (con placchetta) posto a dx del presunto
attacco.

Che dire della via? È costituita da 4 bei tiri, ben spittati e piacevoli. I passaggi tra l’alloro e altre erbe aromatiche, impreziosisco la salita, mitigando il sudore accumulato nell’approccio infernale appena fatto. Le corde nuove lievi si agitano alla brezza che rende il clima perfetto.

Insomma, tutto andava per il meglio.
In vetta decidiamo che possiamo anche non salire il piccolo dente visto che il panorama è già bello così e ci promettiamo una veloce calata e seguente bagno al mare.

Ci prepariamo così per le prime calate sulle nuove doppie avendo cura di far sì che non facciano attrito su uno spigolo di roccia, sia mai che si rovinino di già. In breve tempo siamo alla base del 3 tiro, pronti per la seconda calata. Noi pronti, le corde un po’ meno.

E infatti da qui il bagno al mare diventa un bagno di sudore nel provare a tirare giu le dannate nuove corde che hanno deciso di diventare un tutt’uno con le già menzionate erbe aromatiche, e non, che pervadono la linea di calata.

Che fare? Tirarle più forte? Non basta. Appendersi con tutto il nostro peso?! Neppure. Come prima le corde lievi si agitavano al vento, così ora sono irremovibili. E con esse noi, bloccati alla base del 3 tiro.
Avendo costatato di essere quindi bloccati decidiamo di provare a risalirle… giusto quei 55 metri (perché ovviamente si erano bloccate in alto). Per fare ciò sfruttiamo un cordino diventato Machard. Ma in quel momento dimentichiamo che avremmo potuto fare una staffa per aiutarci nella risalita. Dopo 1 ora abbiamo risalito si e no 3 metri. Avete presente l’indovinello della rana che sale 30cm di giorno e ne scende 20 di notte? Ecco: noi. La roccia sulla linea di calata è tutto tranne che solida. Così capiamo che per far scendere le corde non possiamo far scendere un intera parete di rocce. Desistiamo dall’operazione.

Il tramonto si avvicina e con esso la realizzazione che forse dovremmo chiamare i soccorsi. Ma ci rimane un ultimo tentativo: provare a scendere tra cenge erbose e frane. Così facciamo. Seguendo il rumore del rio, tra arbusti e rocce, non sappiamo bene come ci ritroviamo sul sentiero dell’approccio. È la salvezza, almeno della dignità. Anche questa volta portiamo a casa un salita, ma non le corde.

La notte passa riflettendo su come salvare le nuove corde e trovando una avanzo di corda da 24 metri che decidiamo di portare con noi nella missione di salvataggio corde del giorno seguente, insieme a delle birre.

Scopriamo da altre relazioni che il giorno precedente avremmo potuto scendere anche a piedi seguendo delle cenge, che a questo punto risaliamo. Seguire una relazione non è mai facile, ma farlo al contrario richiede ancor più attenzione. Nell’operazione scoviamo attacchi di diverse altre vie (sentinella e viene il tempo), che quando non devi scalare trovi sempre con facilità. Cogliamo l’occasione per firmare il libro posto nel bivacco della Sentinella, a testimonianza di questa due giorni per 4 tiri degna di una big wall.

Giunti al dente, le nostre amate corde sono ancora lì. Le recuperiamo dall’arbusto aromatico che le ha rese una massa ben aggrovigliata, stile cuffiette del telefono, moltiplicate per 70 metri.
Quindi decidiamo di scendere. E perché farlo a piedi quando possiamo riprovare una calata? Alla fine è solo mezzogiorno.
Ci ricaliamo facendo attenzione a fare passar le corde da punti dove non si sarebbero incastrate (secondo noi). Tornati alla base del 3 tiro abbiamo un deja vu. La corda rossa (ormai chiamata Birba data la sua tendenza a creare scompiglio) non vuole saperne di essere tirata giù. Convinti che questa volta abbiamo fatto tutto giusto, continuiamo a tirare, ed infatti dopo parecchio sudore finalmente vengono giù. Che attrito!

Rimane un’altra discesa. Entrambi ricordiamo che la linea passa da molti più arbusti che la precedente e senza dircelo immaginiamo già che oggi lasceremo le corde su un’altra calata.
A testimonianza dell’impresa, durante la discesa raccogliamo dell’alloro, se non con le corde almeno torneremo con materiale utile a insaporire una pietanza.

Grazie alla provvidenza questa calata si rivela senza intoppi… così decidiamo di andare in una falesia, probabilmente luogo a noi più congeniale. Questa avventura però rimarrà negli annali, e avrà per sempre cementato una cordata affiatata.

Via davvero consigliata per bellezza e continuità dei tiri. Circa la calata, se avete impegni la sera vi consigliamo di scendere a piedi per cenge aeree e passando il famoso “passo del gatto”. Se avete tempo le doppie sicuramente vi regaleranno sorprese.

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