Bianco (Monte) Pilone Centrale Freney – Via classica

Bianco (Monte) Pilone Centrale Freney – Via classica
La gita
fabrizioro
5 09/07/2022

Ce l’avevamo in mente da quando avevamo fatto la cresta dell’Innominata. Da tempo ne parlavamo, discutendo sulle possibili logistiche: spezzare la salita? Affrontarla in giornata dagli Eccles? Partire dal Monzino e bivaccare in parete? Ogni scelta ha i suoi pro e contro, a quelle quote anche un etto in più nello zaino fa differenza… Di certo sarebbe stata un’avventura eccezionale, nel cuore più isolato e selvaggio del Monte Bianco, una salita carica di storia e tristemente famosa per la tragedia vissuta da Walter Bonatti & Co.
Informazioni non ne avevamo. Ci avevano solo detto che qualcuno c’era andato: in che condizioni avranno trovato la roccia e il misto finale? L’avranno affrontata o si saranno ritirati? L’avvicinamento si farà bene? Domande che non ci lasciavano in pace, soprattutto sapendo che l’unica via di uscita era arrivare in vetta al Bianco. Ma il meteo è dalla nostra, bello e stabile per qualche giorno. In più, su CampToCamp provvidenzialmente all’ultimo qualcuno carica una foto del bacino del Frêney visto dalla cresta di Peuterey: la terminale pare ok, si intravvede perfino l’attacco. Mi arriva giusto in tempo la statica da 6 mm consigliata da Fabio Elli e Colin Haley (e direi che abbiamo fatto bene a fidarci): si parte!
Alla fine abbiamo scelto di dormire al Rifugio Monzino, cercando di incamerare energie con una vera cena e un’abbondante colazione. In realtà, abbiamo scoperto che la nuova gestione non è così generosa nelle porzioni come il buon Mauro… ma confidiamo che migliorino, magari anche comprendendo le esigenze di chi deve affrontare certe salite. All’1.30 ci avviamo, insieme a due francesi diretti all’Innominata. In un’annata secca come questa, già arrivare al Col Eccles richiede un discreto impegno: il ghiacciaio del Brouillard ha tratti di ghiaccio vivo ricoperto da pietrisco, i colpi della picca scatenano scintille nel buio della notte. Zigzagando tra i crepacci, raggiungiamo il bivacco inferiore e da lì rimettiamo piede sul ghiacciaio. Il couloir prima del Col Eccles è tracciato ma delicato, in questa stagione anomala.
Facilmente troviamo le doppie che, tra sfasciumi, ci portano al bacino superiore del Frêney. Decidiamo di restare sopra la terminale, anche se è tutto da tracciare. Nonostante la fatica per la pesantezza della neve, già molle ai primi raggi del mattino, cerchiamo di sbrigarci: la traversata è un terno al lotto, pietre e scariche dai canali cadono a pochi centimetri da noi. Finalmente arriviamo all’attacco, più basso che in altre annate. Mentre scaliamo fino alla base della Chandelle (12 tiri? forse 14? non li contiamo neanche più), scrutiamo sotto di noi una cordata in vetta all’Aiguille Blanche: come sembra bassa, da qui! In generale la roccia è buona, ma ora non mancano le fessure ghiacciate e qualche tratto innevato. È un continuo indossare e togliere le scarpette, per superare alcuni punti mettiamo i ramponi. Aveva ragione Francesco Ratti, quando raccontava che “i tiri sono gradati V+ ma alcuni passaggi li definirei come minimo V+ estremo”…
Alla base della Chandelle cerchiamo i famosi “tre buoni posti da bivacco” di cui parlavano le relazioni, ma l’unica possibilità è scavare una piazzola su un tappo di neve appoggiato alla parete: forse in altre annate è meno stretto, intanto speriamo che non si scolli del tutto… L’indomani, qui a 4400 m arriva presto il sole. È il giorno del mio compleanno, niente male festeggiarlo così: come mi fa notare l’amico Alessandro Fabrini al risveglio, non è da tutti una candelina sulla torta come questa Chandelle che ora ci attende! La attacchiamo alle 7.30, la roccia è gelida. Dopo pochi metri, mettiamo piede sul terrazzino dove rimasero bloccati Walter Bonatti, Andrea Oggioni, Roberto Gallieni, Pierre Mazeaud, Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille. Fa impressione immaginare per giorni, sotto la bufera di neve, sette alpinisti in questi due metri quadrati…
I tiri di artif si rivelano all’altezza dei racconti, il traverso esposto ci porta al famigerato camino. Lo superiamo a fatica, piazzando protezioni a prova di bomba ma anche senza far gli schizzinosi con i cunei marci e le fettucce sfilacciate. Rimettiamo le scarpette e ci lanciamo sugli ultimi tiri della Chandelle, combattendo coi crampi: abbiamo bevuto troppo poco ieri… Il peso dello zaino si fa sentire, tra ramponi, scarponi, doppia picca (col senno di poi, viste le condizioni abbiamo fatto bene a portare tre picche in due), sacco a pelo, materassino, cibo e acqua… Dalla vetta del Pilone (4530 m), con una doppia di una ventina di metri tocchiamo l’intaglio sottostante: la veduta sulla gola tra il Pilone centrale e il Pilier Dérobé è impressionante. Con un centinaio di metri di misto non difficile, arriviamo alla cresta principale. Da qui in poi aumentano le tracce, favorendo la progressione. Scavalchiamo il Monte Bianco di Courmayeur ed ecco l’altro regalo della giornata, un caso più unico che raro: quando tocchiamo i 4810 m del Bianco, vista l’ora, possiamo goderci la vetta completamente da soli! E, dopo due giorni di isolamento, fa quasi piacere incontrare qualcuno alla Vallot…

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