E' la prima volta che scrivo su un forum, questa mia decisione è nata dopo aver visto le immagini drammatiche della guida argentina morta sull’Aconcagua.
Ho fatto passare qualche giorno per sbollire la rabbia e lo sgomento e poi ho deciso di mettere giù qualche riga per condividere il mio pensiero in proposito.
Prima di scrivere ho passato qualche ora a documentarmi su internet relativamente alla specifica ascensione e di persona con amici che sono stati sopra i cinquemila metri per capire cosa significa.
Ho passato buona parte dei fine settimana degli ultimi venti anni per sentieri in montagna, ho calpestato un numero di sassi imprecisato, in tutte le condizioni atmosferiche a volte incredibilmente rassicuranti a volte estremamente severe, ho dormito in tenda fuori dai bivacchi e dai rifugi, mi è anche capitato di raggiungere un bivacco completamente seppellito dalla neve e dover dormire per terra all’aria aperta per risvegliarsi al mattino sotto una fitta nevicata (senza tenda).
Nonostante un eccellente senso dell’orientamento ho perso il sentiero non so quanto volte, la prima volta nel 1987 mi sono trovato nel dubbio se lasciarmi scivolare in un canalone o intraprendere almeno un’ora di retromarcia in salita al buio per tornare sulla strada dell’andata.
Da quella volta mi sono trovato a volte in situazioni non sempre rassicuranti, a volte con il buio o la nebbia, a volte con la neve, con la solita tranquillità ho sempre fatto la scelta giusta e sono tornato a casa sulle mie gambe.
Per fortuna non ho mai chiamato il soccorso ne mai ho pensato di averne bisogno.
Alcuni degli amici con cui ho arrampicato per anni sono diventati membri del soccorso alpino, uno di loro è diventato guida alpina.
La prima considerazione è che in quei venticinque anni è stato solo un miracolo se non ho mai messo un piede in fallo, ma a parte questa considerazione iniziale la seconda è che se in mio aiuto fossero arrivati i soccorsi argentini sarei crepato come quel ragazzo.
Quello che si vede dai frammenti di video è sconcertante.
Un ragazzo che con tutte le sue forze si aggrappa disperatamente alla vita strisciando sulle ginocchia per tornare a casa.
Un uomo che tira con una corda Federico Campanini (con l’unico risultato di sbilanciarlo e farlo cadere), due volenterosi che cercano di sostenerlo e di aiutarlo a raggiungere il punto 400 metri più in alto che gli avrebbe probabilmente garantito la salvezza.
Un uomo che sbraita la necessità di lasciare li il ragazzo in stato di ipotermia e allo stremo delle forze.
Un altro soccorritore che guarda inebetito la scena che gli si presenta di fronte agli occhi.
Un ultimo “soccorritore” che filma il tutto con che fine non si sa bene, probabilmente testimoniare l’impossibilità di portare il ragazzo in salvo.
Spero di aver elencato nel miglior modo possibile i pochi frammenti di filmato che non ho più voluto rivedere.
Del soccorso alpino come lo concepiamo dalle nostre parti neanche l’ombra, non una barella, non un solo accorgimento mirato a limitare lo stato di ipotermia di Federico.
Mi chiedo allora come funzionano i soccorsi da quelle parti… se stai sulle tue gambe forse qualcuno ti segnala la strada per tornare e se sei fortunato magari ti accompagna fino ad un rifugio, se per caso ti sei fratturato una gamba devi strisciare fino al campo base per tre giorni e tre notti come è avvenuto a Joe Simpson sulla Siula Grande (m 6344), inutile sperare in una tendina del modico perso di 2,5 kg, un sacco a pelo anche più leggero, un materassino di emergenza, un telo argentato per minimizzare la dispersione termica e dei liquidi caldi per recuperare le forze.
Stando a quanto riportato dalla sentinella del canavese gli altri membri della comitiva sono stati portati a valle con delle barelle.
http://lasentinella.gelocal.it/dettagli ... ni/1574330
La sera in cui ho visto quei pochi frammenti di filmato sono tornato a casa profondamente scosso, mi sono immedesimato, si chiamava Federico, come il Federico morto dopo mesi di agonia poco prima dell’arrivo dei soccorsi in seguito all’incidente aereo su un ghiacciaio sulle ande nel 1972, Federico come me.
In quella occasione si salvarono in sedici nutrendosi dei loro compagni morti, con il già citato Joe Simpson sono due esempi di come si possa sopravvivere in condizioni estreme, ma sono centinaia gli alpinisti che si sono trovati in condizioni drammatiche e che infilandosi nei sacchi a pelo e scavando fosse nella neve hanno passato il peggio tornando a casa sulle proprie gambe o con l’aiuto dei soccorsi.
Per quanta buona fede possa riconoscere a chi ha tentato di salvare Federico non riesco a capacitarmi del perché, dopo aver raggiunto un uomo non ferito e non in parete, non sia stato possibile trovare il modo di salvarlo.
Mi viene spontaneo pensare, anche se spero di sbagliare, che quegli uomini non abbiano voluto mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella di una guida non autorizzata che ti soffia il lavoro e che per giunta ti crea dei problemi.
Sono certo che nessuno degli amici con cui vado in montagna avrebbe lasciato morire un proprio compagno da solo.
Infine un pensiero ai genitori di qual ragazzo in quanto sono padre anche io, gli sono vicino nell’infinita angoscia che hanno provato guardando quelle immagini, difficilmente riusciranno a darsi pace in quanto non si tratta della morte giunta per seguire i propri sogni come spesso avviene a chi va per montagna, non una tragica fatalità, ma una morte assurda e poco giustificabile.